Dopo aver ceduto il marchio, Tognana acquista la Cozzi di Venezia, storico marchio nato nel 1765

Tognana cede l’azienda di famiglia alla Fontebasso ma non va in pensione e rilancia.

“Mio padre Aldo -dice Tonino Tognana- è sempre stato un uomo molto curioso ed in qualche modo poliedrico: appassionato viaggiatore, si interessava di conoscere le varie culture del mondo, sempre aperto al contatto umano, per nulla condizionato da posizione sociale o rango, lui cercava avidamente nutrimento attraverso lo studio e la cultura. Grande appassionato d’arte, di musica, era un melomane che non ha mai mancato l’appuntamento con la prima della Scala, fino alla fine dei suoi giorni. In età giovanile si era avvicinato al mondo politico, con il quale ha successivamente mantenuto relazioni personali, così come ha fatto per l’economia e la finanza.

Avete ceduto il marchio Tognana, ma l’impegno nel settore della ceramica e della porcellana continua con la Manifattura Geminiano Cozzi Venezia 1765…

“Ho affiancato mio padre nelle vicende dell’azienda, fin da quando portavo i pantaloni corti, accompagnandolo alle fiere internazionali del settore e quindi la passione per le ceramiche è nata in me come qualcosa di naturale. Negli anni in cui gestivo la Tognana Porcellane, che aveva rilevato la storica ceramica Andrea Fontebasso, ebbi la possibilità’ di collezionare, tra le altre, anche antiche porcellane della storica Manifattura Geminiano Cozzi, fondata a Venezia nel 1765, di cui in seguito ho acquisito il marchio.

Oggi la produzione è specializzata nel segmento dell’ospitalità di lusso (hotellerie, ristorazione, aerei, yacht e residenze esclusive) e Geminiano Cozzi Venezia 1765 è l’unico brand italiano, che offre, oltre alla porcellana fine, anche la real fine bone porcelain.

Oggi ci possiamo definire con orgoglio tra gli ambasciatori del made in Italy, con una produzione di nicchia, anche su misura e di lusso, che contempla prestigiosi ed eleganti manufatti”.

Lei è stato un campione dei motori nel mondo del rally. Come è nata la passione per le quattro ruote? E il suo rapporto con la Ferrari?

“Ho sempre praticato molti sport, ma la mia passione principale, a differenza di mio papà, che prediligeva il ciclismo, è sempre stata per le automobili da corsa, in particolare per quelle da rally, cioè le corse su strada, che andavo ad assistere in giro per l’Italia fin da ragazzo. A soli 19 anni debuttai quindi nei rally, e dopo anni di apprendistato con le Opel, grazie ai buoni risultati conseguiti, riuscii ad ottenere e guidare vetture competitive ufficiali delle varie Case Automobilistiche, dalla Fiat Abarth, alla Ferrari, allora sviluppata dalla Michelotto di Padova, alla Lancia, ed infine alla Porsche. Nella mia carriera ho corso con 31 diverse vetture, riuscendo a vincere al debutto per 10 volte con altrettante diverse automobili.

Un ricordo in particolare, che mi emoziona sempre: sono stato l’unico pilota nella lunga storia della Ferrari e dei rally ad aver portato una vettura del Cavallino rampante alla vittoria, nel 1982, del campionato Italiano dei Rallies Internazionali.

Ebbi quindi allora la fortuna, l’onore ed il privilegio di conoscere l’ing. Enzo Ferrari che anche di questa vittoria, per lui e per la sua azienda del tutto singolare ed unica, andava molto fiero.

 

Lo sport è sempre stato nel dna della famiglia Tognana. Siete stati coinvolti nell’organizzazione dei Mondiali di Ciclismo del Montello, siete soci da sempre nel Panathlon Treviso. Quali sport seguivate lei e suo padre?

“Come detto per mio papà il ciclismo è stata la passione più grande: negli anni ‘60 e ‘70, assieme a Nane Pinarello fondarono una squadra di ciclisti dilettanti, appunto la Tognana Pinarello, che raccolse successi e sfornò anche veri talenti come Adriano Durante e Silvano Schiavon. Nel 1985 poi, a capo di una cordata di imprenditori e appassionati veneti, come Remo Mosole tra gli altri, organizzò i Campionati mondiali di ciclismo per professionisti sulle strade del Montello e nel velodromo di Bassano del Grappa. negli ultimi anni non mancava di assistere alla televisione ad alcuna tappa del Giro d’Italia o del Tour de France.

Recentemente ha scritto un libro “Quei rally con il Cavallino” che racconta la cavalcata al titolo italiano nel 1982.

“Sì, durante il Covid, l’ASI, cioè l’Automotoclub storico Italiano mi chiese   di scrivere la mia storia sportiva, e così ho trascorso, quasi senza accorgermi, ma proprio divertendomi, tutti i week end del forzato periodo di clausura dovuto al lockdown, rovistando tra i cassetti le foto delle mie corse e rispolverando gli appunti ed i ricordi degli anni di gare.

Ne è uscito un libro di foto e ricordi che è sul mercato e che probabilmente non avrei mai scritto, se non fossi stato allora costretto a casa per alcuni mesi. Ho raccontato così, a briglie sciolte, ricordi e aneddoti di tanti anni di corse, dai rally ai circuiti, dai rally raid alle gare con le autostoriche e soprattutto la stagione vittoriosa con la Ferrari 308 Gtb, quella con il “cavallino rampante”.

di Giampaolo Zorzo