Rapporto sull’Unione dei Mercati dei Capitali: quadro eterogeneo e sfide persistenti a 30 anni dal Mercato Unico Europeo

L’Associazione per i mercati finanziari in Europa (AMFE) e undici organizzazioni europee e internazionali hanno recentemente pubblicato la sesta edizione del rapporto “Unione dei mercati dei capitali: Indicatori principali di performance”. Il rapporto esamina i progressi dei mercati dei capitali europei rispetto a nove indicatori chiave di performance, analizzando gli sviluppi degli ultimi cinque anni.

Sebbene il rapporto di quest’anno presenti un quadro eterogeneo, non evidenzia progressi significativi a medio termine nell’Unione dei Mercati dei Capitali (UMC). La pubblicazione coincide con il 30° anniversario del Mercato unico, offrendo l’opportunità di valutare i progressi raggiunti nei mercati dei capitali dell’UE negli ultimi tre decenni. Tuttavia, i dati indicano un cambiamento minimo nello sviluppo globale dei mercati dei capitali dell’UE.

Adam Farkas, ad dell’AFME, ha dichiarato che, nonostante il completamento delle misure previste dal Piano dell’Unione dei Mercati dei Capitali del 2020, alcuni obiettivi, come il riequilibrio delle fonti di finanziamento e l’integrazione dei mercati nazionali, devono ancora concretizzarsi. La necessità di adeguare la struttura di finanziamento dell’UE per sostenere le esigenze di investimenti trasformativi è evidente, considerando obiettivi come quelli legati al clima entro il 2030.

Gli indicatori di quest’anno mostrano un quadro eterogeneo, con lievi miglioramenti in alcuni settori, ma senza progressi significativi a medio termine nell’efficienza dei mercati dei capitali dell’UE. L’accesso ai finanziamenti di mercato per le imprese è peggiorato, mentre l’ammontare dei crediti trasformati in strumenti del mercato dei capitali è diminuito notevolmente.

La competitività dei mercati dei capitali dell’UE ha registrato un calo, posizionandosi notevolmente dietro agli Stati Uniti e al Regno Unito. Tale declino segue un anno eccezionale nel 2021, caratterizzato da misure di ripresa dalla pandemia.

Il settore fintech dell’UE ha rallentato nel 2023, con una mancanza di nuovi spazi di sperimentazione normativa e una diminuzione degli unicorni. Le emissioni di cartolarizzazioni nell’UE hanno registrato una leggera ripresa, ma restano al di sotto dei livelli globali.

L’UE mantiene la leadership nella finanza sostenibile, con un aumento delle emissioni obbligazionarie ESG, in particolare quelle verdi.

A 30 anni dalla creazione del Mercato unico europeo, i mercati dei capitali dell’UE non hanno registrato uno sviluppo significativo a livello globale. La competitività dell’UE continua a essere inferiore rispetto agli Stati Uniti e al Regno Unito.

L’Italia delude nelle performance dei mercati dei capitali

Nel contesto dell’analisi dell’indicatore di competitività dell’AFME, l’Italia si posiziona al nono posto, superata da Paesi come Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Francia, Irlanda, Germania, Finlandia e Cipro. I progressi italiani degli ultimi cinque anni si concentrano principalmente sulla transizione verso un’economia sostenibile e digitale, con passi modesti verso lo sviluppo dell’afflusso di capitale e la creazione di mercati azionari più liquidi.

Tuttavia, un punto lodevole per l’Italia è la performance eccellente nell’ambito ESG. Nei primi mesi del 2023, il mercato italiano ha sperimentato una notevole espansione, trainata dall’incremento del 196% nelle emissioni di bond verdi rispetto al 2022. L’Italia ha superato Paesi come i Paesi Bassi e la Spagna, diventando il terzo mercato di obbligazioni ESG dell’Unione e contribuendo significativamente alla finanza sostenibile europea.

Nel settore delle IPO, l’Italia si è distinta con la maggiore emissione nell’UE nella prima metà del 2023, rappresentando il 70% del totale dell’Unione. Inoltre, insieme a Danimarca e Polonia, è uno dei pochi Paesi a non registrare un calo annuale, con un aumento del 66% rispetto al 2022. L’emissione totale dei mercati dei capitali, compresi obbligazioni e azioni, ha registrato un notevole aumento del 43% rispetto all’anno precedente.

Tuttavia, l’Italia ha anche segnato un calo significativo nella trasformazione dei prestiti in strumenti del mercato dei capitali, con una riduzione del 51% nelle emissioni di cartolarizzazioni e del 70% nelle vendite di portafogli di prestiti rispetto al 2022. Questo declino è attribuito a varie cause, tra cui la salute rafforzata del settore bancario italiano e l’impatto del progetto Gacs.

Infine, sebbene le famiglie italiane siano al quinto posto per l’ammontare di risparmi investiti nei mercati dei capitali, rappresentando il 108% del PIL, il rapporto sottolinea un divario significativo rispetto ad altri Paesi europei come Danimarca, Regno Unito e Paesi Bassi. Le famiglie italiane mostrano una preferenza per investire in quote di fondi di investimento e obbligazioni, ma investono meno in fondi di assicurazione vita e pensionistici rispetto ad altri Paesi.

In sintesi, il rapporto evidenzia sfide persistenti nei mercati dei capitali dell’UE e la necessità di approfondire le strategie per migliorare l’efficienza e la competitività a medio termine.

di R.E.